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nugae

à la gauche du possible

La politique n’est pas affaire d’État. Elle est la pensée stratégique du présent, la possibilité d’interrompre le cours du temps, de bifurquer vers des sentiers inexplorés, la disponibilité à voir surgir le Messie qu’on n’osait plus, sans se l’avouer, espérer. Passé et futur sont perpétuellement remis en jeu. On ne cesse de miser le tout sur la partie. On est toujours à même de combler ou décevoir une attente.
[…]
À la gauche du possible.

Daniel Bensaïd, Walter Benjamin, sentinelle messianique, Les prairies ordinaires, 2010, p. 43

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nugae

per una politicizzazione dell’arte

«Fiat ars – pereat mundus», dice il fascismo, e, come ammette Marinetti, attende dalla guerra la soddisfazione artistica della percezione sensoriale modificata dalla tecnica. È questo, evidentemente, il compimento dell’arte per l’arte. L’umanità, che un tempo in Omero era uno spettacolo per gli dei dell’Olimpo, ora lo è diventata per se stessa. La sua autoestraniazione ha raggiunto un livello che le permette di vivere il proprio annientamento come un godimento estetico di prim’ordine. Cosí stanno le cose riguardo all’estetizzazione della politica che il fascismo persegue. Il comunismo gli risponde con la politicizzazione dell’arte.


Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica

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nugae

feticcio del tramonto o chiave per la felicità

La guerra che questa luce rivela è altrettanto poco la guerra «eterna» che è oggetto delle preghiere di questi nuovi tedeschi, che l’«ultima» di cui fantasticano i pacifisti. In realtà è soltanto questo: la sola, terribile, ultima possibilità di correggere l’incapacità dei popoli di dare ai loro reciproci rapporti un ordine corrispondente alla loro capacità tecnica di controllare la natura. Se la correzione non riesce, due milioni di corpi umani saranno bensì smembrati e distrutti dal gas e dal ferro – lo saranno inevitabilmente -, ma persino gli habitués delle potenze ctoniche del terrore che portano il loro Klages nello zaino non conosceranno neanche un decimo di ciò che la natura promette ai suoi figli meno curiosi, più sobri, che nella tecnica non vedono un feticcio del tramonto, ma una chiave per la felicità. Di questa loro sobrietà essi daranno la prova nel momento in cui si rifiuteranno di riconoscere nella prossima guerra una magica cesura, ma, al contrario, scopriranno in essa il volto della vita quotidiana, e appunto con questa scoperta realizzeranno la sua trasformazione nella guerra civile, eseguendo cosí il trucco marxista, il quale soltanto è in grado di vincere questo cupo incantesimo runico.

Walter Benjamin, Teorie del fascismo tedesco, in Opere complete, vol. IV. Scritti 1930-1931, p. 213.

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fragmenta

le immense energie della storia

Commento di Ernst Bloch a proposito del lavoro sui passages: «La storia mostra il suo distintivo di Scotland-Yard». Fu nel corso di un colloquio in cui io esposi come questo lavoro – analogamente al metodo della fissione dell’atomo – liberi le immense energie della storia imprigionate nel «c’era una volta» della storiografia classica. La storia, che mostrava la cosa «come è stata veramente», è stata il più forte narcotico del secolo.

Walter Benjamin, I “passages” di Parigi, in Id., Opere complete, cit., vol. IX, p. 518 [N 3, 4]

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politica

la mort du capitalisme

L’expérience de notre génération : le capitalisme ne mourra pas de mort naturelle.

Walter Benjamin, Le Livre des passages, p. 681 (GS V, 2 p. 819)

La société sans classes n’est pas le but final du progrès dans l’histoire mais plutôt son interruption mille fois échouée, mais finalement accomplie.

Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia, XVIIa

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letteratura politica

la theologia negativa di kafka

Mi sembra che il concetto di theologia negativa sia effettivamente il solo che possa rendere conto in modo adeguato del tipo molto particolare di problematica religiosa presente nei romanzi di Kafka. La redenzione messianica (e anche, come vedremo, l’utopia libertaria) appare in lui soltanto in «calco», nella «fodera» del reale o disegnata in filigrana dal contorno nero del mondo presente. Ciò vale, soprattutto, per il suo ultimo grande scritto narrativo, Il castello.

[…]

Kafka sembra condividere la convinzione di Strindberg (che si ritrova anche in Benjamin) che «l’inferno è questa vita»: in uno degli aforismi di Zürau, scrive: «di diabolico non c’è altro che quanto appare di caso in caso». È proprio questo sguardo desolato sul mondo che ci rinvia all’aspirazione messianica. Nessuno meglio di Adorno ha percepito questa dialettica paradossale di Kafka: a suo avviso nel Castello (e nel Processo) la nostra esistenza è presentata come «l’inferno colto dal punto di vista della redenzione»; essa è illuminata da una luce che «rivela le fessure del mondo come infernali». In questo mondo decaduto, ogni tentativo isolato – come quello dell’agrimensore K. – di opporre la verità alla menzogna è votato al fallimento. Secondo Kafka, «in un mondo di menzogna, la menzogna non viene bandita dal mondo nemmeno attraverso il suo contrario, bensì attraverso un mondo di verità»; in altri termini, attraverso la redenzione che sola potrà abolire il mondo esistente e sostituirlo con uno nuovo […] In conclusione: Il processo e Il castello descrivono un mondo disperato, votato all’assurdo, all’ingiustizia autoritaria e alla menzogna, un mondo senza libertà dove la redenzione messianica si manifesta soltanto negativamente, per la sua assenza radicale. Non solo non c’è alcun messaggio positivo, ma la promessa messianica del futuro esiste soltanto implicitamente, nella forma religiosa di concepire (e rifiutare) il mondo contemporaneo come infernale. La critica dello stato di cose esistenti è sociale e politica, ma ha anche una dimensione trascendentale, metafisica (ciò che distingue radicalmente le sue opere da qualsiasi narrativa «realista»), teologica. La «teologia» di Kafka – se si può utilizzare questo termine – è dunque negativa in un senso preciso: suo oggetto è la non-presenza di Dio nel mondo e la non-redenzione degli uomini. Questo modo di affermare il positivo soltanto attraverso il suo contrario, il suo Gegenstück negativo, si manifesta tanto nei romanzi che nei paradossi degli aforismi. Come scrive Maurice Blanchot, «tutta l’opera di Kafka è alla ricerca di un’affermazione che vorrebbe vincere attraverso la negazione (…). La trascendenza è per l’appunto». Alla theologia negativa, al messianismo negativo di Kafka corrisponde, sul terreno politico, una utopia negativa, un anarchismo negativo. Heinz Politzer parla di Kafka come di un «anarchico metafisico». Mi sembra, in effetti, che le sue opere principali – e in particolare Il processo e Il castello – contengano una dimensione critica della reificazione burocratica e dell’autorità statale gararchizzata (giuridica o amministrativa) d’ispirazione chiaramente anarchica. Questa interpretazione «politica» è evidentemente soltanto parziale: l’universo di Kafka è troppo ricco e multiforme perché lo si possa ridurre a una formula unilaterale. Ma essa non è affatto in contraddizione con la lettura religiosa o teologica: al contrario esiste tra le due una sorprendente analogia strutturale. All’assenza della redenzione, indice religioso di un’epoca dannata, corrisponde l’assenza della libertà nell’universo opprimente dell’arbitrio burocratico. È solo in calco che si profilano la speranza messianica e la speranza utopica: il radicalmente altro. L’anarchismo è così caricato di spiritualità religiosa e acquista una proiezione «metafisica»

Michael Löwy, Redenzione e Utopia. Figure della cultura ebraica mitteleuropea, Bollati Boringhieri, 1992, pp. 88-90

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politica

il progresso

Il concetto di progresso dev’essere fondato nell’idea di catastrofe. La catastrofe è che tutto continui come prima. Essa non è ciò che di volta in volta incombe, ma ciò che di volta in volta è dato. Il pensiero di Strindberg: l’inferno non è nulla che ci attenda – ma la nostra vita qui.

Walter Benjamin, Parco centrale (1938), in Angelus novus, Einaudi, Torino 1962

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filosofia fragmenta politica

capitalismo come religione

Walter Benjamin & Andy Warhol | Lapham's Quarterly

Nel capitalismo va individuata una religione; il capitalismo, cioè, serve essenzialmente all’appagamento delle stesse preoccupazioni, tormenti, inquietudini a cui in passato davano risposta le cosiddette religioni. Dimostrare tale struttura religiosa del capitalismo – e non solo, come ritiene Weber, in quanto costruzione determinata in senso religioso, bensì in quanto fenomeno essenzialmente religioso – condurrebbe ancora oggi nella direzione sbagliata di una smisurata polemica universale. Non possiamo sbrogliare la rete in cui ci troviamo. In seguito, tuttavia, ne avremo una visione d’insieme.

Tre tratti di questa struttura religiosa del capitalismo sono però riconoscibili già nel presente. In primo luogo, il capitalismo è una religione puramente cultuale, la più estrema forse che mai si sia data. Tutto, in esso, ha significato soltanto in rapporto immediato con il culto; non conosce nessuna particolare dogmatica, nessuna teologia. L’utilitarismo acquisisce, da questo punto di vista, la sua coloritura religiosa. A questa concretizzazione del culto è connesso un secondo tratto del capitalismo: la durata permanente del culto. Il capitalismo è la celebrazione di un culto sans [t]rêve et sans merci [“senza tregua e senza pietà”]. Non ci sono “giorni feriali”; non c’è giorno che non sia festivo, nel senso spaventoso del dispiegamento di ogni pompa sacrale, dello sforzo estremo del venerante. Questo culto è in terzo luogo, al contempo, colpevolizzante e indebitante (verschuldend). Il capitalismo è presumibilmente il primo caso di un culto che non consente espiazione, bensì produce colpa e debito (verschuldend). Ed è qui che questo sistema religioso precipita in un movimento immane. Una terribile coscienza della colpa (Schuldbewuβtsein), che non sa purificarsi, ricorre al culto non per espiare in esso questa colpa, bensì per renderla universale, per conficcarla nella coscienza e, infine e soprattutto, per coinvolgere in questa colpa il dio stesso e alla fine rendere lui stesso interessato all’espiazione.

Espiazione che tuttavia non va attesa dal culto stesso, e nemmeno dalla riforma di questa religione – che dovrebbe potersi reggere su qualcosa di saldo in essa – e neanche dal rinnegarla. È nell’essenza di questo movimento religioso – che è il capitalismo – resistere fino alla fine, fino alla finale e completa colpevolizzazione di Dio, al suo indebitamento, fino al raggiungimento dello stato di disperazione del mondo, in cui si arriva persino a sperare. In questo consiste l’aspetto storicamente inaudito del capitalismo: la religione non è più riforma dell’essere, bensì la sua frantumazione. L’estensione della disperazione a stato religioso del mondo è ciò da cui si attende la salvezza. La trascendenza di Dio è caduta. Ma egli non è morto, è incluso nel destino umano. Questo transito del pianeta Uomo per la casa della disperazione, nell’assoluta solitudine della sua orbita, è l’ethos che Nietzsche determina. Questo uomo è l’Übermensch, il primo che comincia consapevolmente a compiere la religione capitalistica. Il cui quarto tratto è che il suo Dio deve restare nascosto ed è permesso invocarlo soltanto allo Zenit della sua colpevolizzazione, del suo indebitamento. Il culto è celebrato al cospetto di una divinità immatura – ogni rappresentazione, ogni pensiero rivolto a essa viola il segreto della sua maturità.

Anche la teoria freudiana appartiene al dominio sacerdotale di questo culto. Essa è concepita interamente in modo capitalistico. Il rimosso, la rappresentazione peccaminosa, è – per una profonda analogia ancora da esaminare – il capitale, che grava di interessi l’inferno dell’inconscio.

Il tipo di pensiero religioso capitalistico si trova espresso grandiosamente nella filosofia di Nietzsche. L’idea dell’Übermensch disloca il “balzo” apocalittico non nell’inversione (Umkehr), nell’espiazione, nella purificazione, nella penitenza, bensì in un potenziamento apparentemente costante, ma che nell’ultimo tratto è dirompente e discontinuo. Pertanto, potenziamento e sviluppo nel senso del “non facit saltum” sono incompatibili. L’Übermensch è l’uomo storico giunto alla sua condizione senza inversione di rotta, cresciuto fino ad attraversare il cielo. Nietzsche ha anticipato questa deflagrazione del cielo per mezzo di un elemento umano potenziato, che (anche per Nietzsche) è e resta in termini religiosi colpevolizzazione. E più o meno lo stesso vale per Marx: il capitalismo che non si inverte diviene – con interessi e interessi composti che sono funzioni del debito (notare l’ambiguità demoniaca di questo concetto) – Socialismo.

Il capitalismo è una religione di mero culto, senza dogma.

Il capitalismo si è sviluppato in Occidente – come va dimostrato non soltanto per il calvinismo, ma anche per le altre correnti cristiane ortodosse – in modo parassitario sul cristianesimo, in modo tale che, alla fine, la storia di quest’ultimo è essenzialmente quella del suo parassita, il capitalismo.

Paragone tra, da un lato, le immagini sacre delle diverse religioni e, dall’altro, le banconote dei diversi Stati. Lo spirito che parla dall’ornamento delle banconote.

Capitalismo e diritto. Carattere pagano del diritto: Sorel, Réflexions sur la violence, p. 262.
Superamento del capitalismo mediante la migrazione: Unger, Politik und Metaphysik, p. 44.
Fuchs, Struktur der kapitalistischen Gesellschaft (o qualcosa di simile).
Max Weber, Ges. Aufsätze zur Religionssoziologie, 2 voll., 1919-1920.
Ernst Troeltsch, Die Soziallehren der chr. Kirchen und Gruppen (Ges. W. I, 1912).
Si vedano le indicazioni bibliografiche di Schönberg II.
Landauer, Aufruf zum Sozialismus, p. 144.

Le preoccupazioni: una malattia dello spirito propria dell’epoca capitalistica. Assenza spirituale (e non materiale) di via d’uscita nella povertà e nel monachesimo di vaganti e mendicanti. Una condizione che è talmente senza via d’uscita da essere colpevolizzante e indebitante. Le “preoccupazioni” sono l’indice di tale coscienza della colpa per l’assenza di via d’uscita. Le “preoccupazioni” sorgono dall’angoscia per l’assenza di una via d’uscita che sia comunitaria e non individuale-materiale.

Il cristianesimo nell’epoca della Riforma non ha favorito l’avvento del capitalismo, ma si è trasformato in capitalismo.

Sul piano metodologico si dovrebbe indagare innanzitutto quali legami il denaro abbia stretto con il mito nel corso della storia, finché non ha potuto trarre dal cristianesimo così tanti elementi mitici da costituire un proprio mito.

Guidrigildo / thesaurus delle buone opere / compenso dovuto al sacerdote. Pluto come dio della ricchezza.

Adam Müller, Reden über die Beredsamkeit, 1816, p. 56 sgg.

Connessione con il capitalismo del dogma della natura dissolutrice del sapere, che ha la capacità al contempo di redimerci e di ucciderci: il bilancio in quanto sapere che redime e che liquida.

Contribuisce a riconoscere che il capitalismo è una religione rammentare che il paganesimo originario ha dapprima compreso la religione non come un interesse “superiore” e “morale”, bensì come il più immediato interesse pratico; in altre parole, non aveva affatto chiaro, come il capitalismo odierno, la sua natura “ideale” o “trascendente”, ma vedeva piuttosto nell’individuo irreligioso o di altra confessione della sua comunità un membro indubitabile di essa, proprio nel senso in cui la borghesia di oggi considera i suoi membri che non guadagnano.

[metà 1921]

Walter Benjamin, Gesammelte Schriften, vol. VI, a cura di Rolf Tiedemann e Hermann Schweppenhäuser, Frankfurt a.M. 1972-1989, pp. 100-103; in Dario Gentili, Mauro Ponzi, Elettra Stimilli (a cura di), Il culto del capitale. Walter Benjamin: Capitalismo e religione, Quodlibet, Macerata 2014, pp. 9-12. Traduzione a cura del Seminario dell’Associazione Italiana Walter Benjamin (AWB).