Tutto sembra puntare nella stessa direzione: il modello di dominio, la filosofia e i precetti pragmatici di gestione, i veicoli di controllo sociale e lo stesso concetto di potere, inteso come modo per manipolare le probabilità accrescendo l’eventualità di comportamenti auspicati e riducendo al minimo quelle contrarie. Tutta l’attenzione si sposta dall’imposizione alla tentazione e seduzione, dalla regolazione normativa alle Pr, dalla polizia alla creazione del desiderio; e tutto concorre a trasferire il ruolo di protagonisti (ai quali spetta raggiungere i risultati auspicati e graditi) dai capi ai subordinati, dai controllori ai controllati, dagli ispettori agli ispezionati: in breve, dai gestori ai gestiti.
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Qualsiasi aspetto «personale», non contemplato cioè dallo statuto dell’organizzazione, doveva sparire al momento di arrivare sul posto di lavoro e poteva essere recuperato solo a fine giornata, dopo il cosiddetto «orario di ufficio». Oggi che i manager (nel ruolo di team leader e comandanti di unità speciali) hanno trasferito sulle spalle dei singoli attori il centro di gravità, l’onere della prova e la responsabilità del risultato o li hanno «subappaltati», «esternalizzati», «scorporati» o affidati a terzi, in base a un modello cliente-fornitore, anziché capo-subalterno, lo scopo è mettere al servizio dei fini aziendali tutta la personalità dei subalterni e tutto il loro tempo di veglia. […] Blanditi dal consumismo e spaventati dalla nuova libertà dei capi di sparire nel nulla insieme ai posti di lavoro, i subalterni sono talmente addestrati a svolgere il ruolo di sorveglianti di se stessi da rendere superflue le torrette di osservazione dello schema di Bentham e Foucault.
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Per dirla in termini semplici, il «Ban-opticon» di Bigo si riferisce all’uso di tecnologie di profilazione per individuare coloro che devono essere sottoposti a sorveglianza specifica [gruppi marginali in quanto tali, potenziali migranti, sospettati di «terrorismo» e altri gruppi sottoposti ai recenti regimi di «sicurezza»]. Ma un concetto analogo emerge anche da una più vasta analisi teorica sui modi in cui le attività sempre più coordinate a livello internazionale dei «gestori del disagio» – come polizia, funzionari di frontiera e compagnie aeree – creino una nuova «(in)sicurezza globalizzata». Ormai le burocrazie transnazionali della sorveglianza e del controllo, sia imprenditoriali che politiche, agiscono a distanza per monitorizzare e controllare, attraverso la sorveglianza, i movimenti demografici. Tutti questi discorsi, prassi, architetture fisiche e regole, nel loro insieme, creano un apparato completo e connesso che Foucault chiamava dispositif. Il risultato non è un Panopticon globale, ma un «Ban-opticon» in cui si fondono l’idea di «messa al bando», che Jean-Luc Nancy riprende da Agamben, e l’«opticon» di Foucault. È questo dispositif a definire chi è gradito e chi non lo è, creando categorie di esclusi che non vengono banditi da un determinato Stato-nazione, ma da un cluster amorfo e non unificato di poteri globali. […] La funzione strategica del diagramma del Ban-opticon è quella di definire il profilo di una minoranza «sgradita». Le sue tre caratteristiche sono: poteri eccezionali nell’ambito di società liberali (stati di emergenza che si trasformano in routine), profilazione (volta a escludere alcuni gruppi e categorie di persone, preventivamente selezionati sulla base di potenziali comportamenti futuri) e normalizzazione dei gruppi non esclusi (sulla fiducia nella libertà di movimento di merci, capitali, informazioni e persone). […] Il principale scopo del Ban-opticon è accertarsi che i rifiuti vengano separati dai prodotti come si deve e destinati al trasporto in una discarica. E una volta che sono arrivati fin lì, ci penserà il Panopticon a farceli restare: preferibilmente, fin quando il processo di biodegradazione avrà fatto il suo corso.
Zygmund Bauman e David Lyon, Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida, 2013