Sembra, in generale, che la poesia tragga origine da due cause, ambedue naturali: l’istinto dell’imitazione, che è innato agli uomini fin dall’infanzia (anche in questo l’uomo si distingue dagli altri animali, in quanto è più incline all’imitazione e con essa acquista le sue prime cognizioni), e il piacere che tutti traggono dai prodotti dell’imitazione.
Una prova di ciò ci viene dall’esperienza dei fatti: anche di cose che vediamo con disgusto ci fa piacere di vedere l’imitazione eseguita con la massima esattezza, come è delle rappresentazioni delle bestie più immonde e dei cadaveri. E la ragione sta in questo, che l’apprendere è oltremodo gradito non solo ai filosofi, ma anche agli altri uomini, solo che questi ultimi partecipano della soddisfazione in una misura minore.
Aristot. Poet. 1448b
Tragedia, dunque, è l’imitazione di un’azione seria e compiuta in sé stessa, che ha una certa ampiezza ed è composta in un lunguaggio condito di ornamenti, diversamente distribuiti a seconda delle loro specie nelle varie parti di essa; imitazione che si svolge attraverso personaggi che agiscono e non narrano, e tale da produrre mediante la pietà e il terrore la catarsi di questi sentimenti.
Aristot. Poet. 1449b
L’elemento più importante [della tragedia] è la disposizione dei fatti, poiché la tragedia è imitazione non di uomini, ma di azioni e di vita: felicità e infelicità si riconducono all’azione, e il fine della vita è l’azione, e non una qualità morale. […] Quindi i fatti, cioè la favola, sono il fine della tragedia, e il fine è, di tutte le cose, l’elemento più importante.
Aristot. Poet. 1450a
Da quel che abbiamo detto, risulta manifesto anche questo: che compito del poeta è di dire non le cose accadute ma quelle che potrebbero accadere e le possibili secondo verosimiglianza e necessità. Ed infatti lo storico e il poeta non differiscono per il fatto che questo scrive in versi e quello in prosa (si potrebbero benissimo mettere in versi le Storie di Erodoto, infatti, ed esse non cesserebbero di essere storia per la circostanza di essere in versi anziché in prosa): storico e poeta differiscono perché l’uno racconta ciò che è accaduto e l’altro ciò che potrebbe accadere. E perciò la poesia è cosa più nobile e più filosofica della storia, perché la poesia tratta piuttosto dell’universale, mentre la storia del particolare. Ora, rientra nell’universale che un individuo di una certa indole faccia e dica determinate cose secondo i principi della verosimiglianza e della necessità: e a questo appunto mira la poesia, che ai personaggi i nomi li applica dopo. Invece il particolare si occupa di ciò che ha fatto o ha subìto qualcuno, Alcibiade per esempio.
Aristot. Poet. 1451b
Inoltre il poeta deve, per quanto gli è possibile, immedesimarsi negli atteggiamenti del personaggio. Infatti riescono più persuasivi i poeti che, coincidendo con l’indole del personaggio, partecipano alle sue passioni; e così sa esprimere un animo in tempesta chi ce l’ha davvero in tempesta, e rappresenta l’ira in modo più verace chi è adirato. Per questo il poetare è di colui che è ben dotato d’ingegno, o dell’entuasiasta di temperamento: quello perché di carattere plasmabile, questo perché facile al rapimento estatico. [Cfr. Orazio, Ars poetica, 101 sgg.]
Aristot. Poet. 1455a
Per quello che riguarda l’imitazione narrativa e in versi è chiaro che anche qui, come nelle tragedie, la favola deve avere una struttura compiuta, con un principio, un mezzo e una fine, affinché il poema epico, come un organismo intero e vivente, procuri quel piacere che gli è particolare.
Aristot. Poet. 1459a
Implicita condanna alla lirica:
Il poeta deve parlare in prima persona il meno possibile: infatti, così facendo non sarebbe più un imitatore.
Aristot. Poet. 1459a